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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



22/07/2009 Marco Causi
Discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione n. 2561-A.
Signor Presidente, mi permetta di cominciare il mio intervento con l´affermazione, che cercherò poi di motivare, che è molto netta: siamo di fronte ad un impianto di politica economica fortemente criticabile nel metodo e nel merito.
Nel metodo: il decreto-legge n. 78 del 2009 arriva al nostro esame prima del DPEF e dell´assestamento di bilancio. Il DPEF addirittura collega il decreto-legge n. 78 del 2009 a se stesso, una cosa non prevista dall´attuale ordinamento. La stessa manovra è stata poi modificata nel corso dell´esame in Commissione con emendamenti sostanziali, prodotti da Governo e relatori, presentati in Commissione e privi di relazione tecnica (in particolare, penso all´articolo 13-bis, che noi riteniamo essere un condono sui capitali rimpatriati).
Il Ministro Tremonti non perde occasione per affermare che non crede al DPEF, non crede possibile, né necessario, né utile programmare a medio termine. Polemicamente potremmo dire che il Governo non ha strategia, si limita a «galleggiare». Sappiamo anche che dietro a questa dichiarazione del Ministro è in corso una discussione sulla riforma del processo di bilancio, che dovremo affrontare nelle prossime settimane, e alcuni pensano come Tremonti che sia inutile una sessione di bilancio estiva di tipo strategico.
Signor Presidente, mi faccia affermare che io non sono fra questi: ritengo che sia necessario mantenere nettamente una separazione tra una strategia pluriennale di finanza pubblica, anche con numeri e in particolare anche con i quadri definiti della finanza locale, come abbiamo deciso entro la legge n. 42, separata poi da un´ulteriore sessione di attuazione finanziaria annuale. Forse dovremmo anche avere il coraggio di anticipare la sessione estiva e di farla anche prima di luglio, in modo da permettere agli enti locali territoriali di adottare poi i loro bilanci.
Ma questo impianto di politica economica è criticabile anche nel merito. È illuminante da questo punto di vista − e ne propongo la lettura a tutte le colleghe e i colleghi - la tabella 3.9 a pagina 37 del DPEF. In questa tabella gli uffici del Ministero dell´economia e delle finanze scompongono il deficit pubblico (indebitamento netto ai fini di Maastricht) fra componente strutturale e componente ciclica. Ebbene, nel 2008 la componente ciclica del bilancio dello Stato italiano è stata pari a +0,5 (mezzo punto del PIL in avanzo), cioè la politica economica è stata prociclica, inerzialmente e strutturalmente ha determinato un deficit di 3,2 punti percentuali; gli interventi congiunturali infrannuali e discrezionali hanno ridotto quel 3,2 al 2,7. Interventi prociclici: proprio quando arrivava la più grande crisi economica degli ultimi cinquant´anni, la politica economica italiana nella sua componente discrezionale è stata prociclica, ossia ha aggravato la crisi e ristretto la finanza pubblica.
Ebbene, il Partito Democratico lo aveva detto: lo avevamo detto e denunciato in tutte le sedi, parlamentari e politiche, ed è proprio questo ciò che è successo. Noi riteniamo, signor Presidente, che l´entità della recessione italiana nel 2009 (e cioè il fatto che il prodotto interno lordo italiano si riduca nell´anno in corso del 5,2 per cento, il peggiore risultato fra tutte le economie del mondo, tranne la Germania) dipenda anche da questa politica economica sbagliata.
Siamo di fronte a gravi errori di politica economica, nelle quantità di risorse messe in campo, nella qualità delle misure e degli interventi e nei tempi dell´azione.
La differenza tra la proposta del Partito Democratico e quello che il Governo ha realizzato è in fondo la differenza fra un più e un meno. Noi avremmo fatto, come abbiamo sempre proposto, una vera manovra anticiclica di un punto di PIL, cambiando quel +0,5 in -0,5 e avremmo così anticipato di un anno l´emergere della componente anticiclica, che nel 2009 è pari a circa 2 punti percentuali del PIL in termini di disavanzo.
Il DPEF, da questo punto di vista, svela la verità e, forse, è per questo che non piace al Ministro, perché leggendo il DPEF si legge la verità. A pagina 16, le risorse anticrisi messe in campo dai sette decreti-legge (quello in discussione è l´ottavo), che abbiamo approvato nel corso di questi dodici mesi, sono pari complessivamente a 27,3 miliardi di euro nei quattro anni che vanno dal 2008 al 2011. Poi, però, vi è un commento intellettualmente disonesto, perché si dice che questi 27 miliardi sono pari all´1,8 per cento del PIL, ma - attenzione - in quattro anni: 2008, 2009, 2010 e 2011. Quindi, in realtà, siamo di fronte ad un intervento pari allo 0,45 per cento, in media, all´anno: 2,7 miliardi nel 2008, 11,4 miliardi nel 2009, 7,5 miliardi nel 2010 e 5,8 miliardi nel 2011. Anche questo, l´opposizione l´ha sempre detto.
Sappiamo che la gravità della recessione italiana non dipende solo da questo. Nel misurare la gravità della recessione, scopriamo quanto sia centrale per la nostra struttura produttiva l´apparato industriale. Riconosciamo, proprio nella recessione, la capacità di competere, di innovare e di esportare da parte delle nostre imprese. Un dato molto interessante riguarda, per esempio, la tenuta, nel 2008, del saldo commerciale italiano (ovviamente, al netto dei prodotti energetici), che, addirittura, nel 2008, migliora rispetto al 2007. L´apparato industriale italiano ha prodotto un saldo commerciale positivo di 50 miliardi di euro nel 2008, già a crisi scoppiata sui mercati mondiali, incrementando questo saldo di 10 miliardi rispetto al 2007.
Non ci deve stupire soltanto la FIAT e la sua capacità di eccellenza tecnologica, ma ci devono stupire le nostre piccole imprese e i tanti distretti industriali, non soltanto quelli del nord. Forse, abbiamo sbagliato negli ultimi anni - lo dico anche a me stesso e al mio schieramento - a discutere così tanto di declino, ma appunto per questo, di fronte alla forza e all´eccellenza dell´apparato industriale italiano, occorre una strategia a medio termine per la finanza pubblica e per portare questo apparato produttivo all´appuntamento con l´uscita dalla crisi prima che esso vada disperso o distrutto. È una strategia che il Governo non ha, o nonvuole avere, per tenersi ben stretta una massima discrezionalità di manovra, abilmente giocata sul piano della comunicazione, dell´annuncio continuo di misure di provvedimenti di dubbia efficacia e dei rapporti di forza e di potere all´interno del corpo sociale e dei corpi intermedi.
Intanto, il saldo strutturale di bilancio resta invariato (era -3,2 nel 2008, è -3,1 nel 2009), la spesa corrente della pubblica amministrazione per redditi da lavoro e consumi intermedi, come è già stato ricordato, prima di me, dal collega Ventura, aumenta di ben 8 miliardi di euro nel 2009, dimostrando, una volta ancora, che i tagli lineari non funzionano. È il secondo esempio in pochi anni, dopo il tetto alla spesa, che dimostra che la spesa pubblica non si governa con provvedimenti aggregati, né con misure uguali per tutti, ma si governa con ciò che aveva avviato il Ministro dell´economia del precedente Governo - cioè, con le spending review, andando a vedere, voce per voce, quali sono i risparmi possibili - e si controlla passando ai costi standard, come si è deciso con legge n. 42 del 2009, di attuazione dell´articolo 119 della Costituzione (a questo proposito, vorrei chiedere al Governo di avere notizie in merito all´attuazione e in merito alle quantificazioni).
Lo scetticismo del Ministro Tremonti per tutto quello che è scenario a medio termine, diventa, da questo punto di vista, un grave limite anche all´azione di Governo. Ancora non abbiamo quantificazioni ufficiali in merito all´impatto della legge n. 42 del 2009. Il gruppo parlamentare del Partito Democratico, per stimolare il Governo ad iniziare a lavorare sui costi standard, ha realizzato uno studio che sta per essere pubblicato e che è già stato anticipato alla stampa. Per esempio, nel caso di un «pezzo» di spesa sanitaria, dimostra che il passaggio ai costi standard può generare risparmi pari a circa 3 miliardi di euro e che questi risparmi vanno generati in tutto il Paese, non solo nel sud o nel nord. Tutti gli amministratori locali, regionali e statali si devono rimboccare le maniche e risparmiare.
Mentre il saldo di bilancio strutturale resta costante e il gettito delle imposte diminuisce più di quanto si riducono consumi e redditi (segno di crescita dell´evasione, di cui, peraltro, anche il Governo si è accorto, al punto che nel decreto-legge n. 78 propone di stringere alcuni meccanismi: concordiamo, ad esempio, sulle questioni relative ai paradisi fiscali, al rafforzamento della riscossione e alle compensazioni IVA), gli investimenti pubblici sono previsti in riduzione: 4,4 miliardi di euro in meno nel 2010 e ulteriori 2,5 miliardi in meno nel 2011. Chiedo al Governo: pensate davvero che sia questa l´exit strategy per il Paese, più spesa pubblica corrente non governata e meno investimenti? Come proposta di strategia a medio termine mi pare un po´ poco, ed è un po´ poco anche la strategia che ci viene proposta nel decreto-legge n. 78 che, alla fine, è l´unica manovra che abbiamo. Fino a quando non deciderete altrimenti, sembra che l´unica manovra collegata a questa sessione di bilancio sia il decreto-legge di cui oggi abbiamo cominciato l´analisi.
È un po´ poco per tre motivi: primo, perché tale decreto-legge contiene provvedimenti fortemente criticabili; secondo, perché è una mancata occasione per introdurre le riforme necessarie ad una vera exit strategy di medio periodo; terzo, perché quando propone alcune riforme, le fa male e troppo in fretta.
Inizierò dalle norme su cui vi è una nostra forte opposizione, che, tra l´altro, ci ha portato - come è noto - a non aderire alla proposta di segnalare in Commissione i nostri emendamenti preferiti; infatti, preliminare e pregiudiziale era per noi l´abolizione di queste norme. Innanzitutto vi è il condono. Desidero illustrare un solo punto, e mi rivolgo direttamente al Governo e alla maggioranza. Volete fare il condono? Fatelo, se volete, ma una cosa sola vi chiedo: non dite che state agendo come Obama, non ditelo. Smettete di dire che voi siete come Obama. Obama infatti dispone di una struttura delle entrate che si chiama Internal Revenue Service: è l´Agenzia delle entrate americana. Io sono andato sul sito della Internal Revenue Service e vi leggo, traducendo, cosa deve fare un contribuente americano per regolarizzare i capitali residenti all´estero: egli deve produrre una lettera da un avvocato o da altro legale rappresentante, che descriva i rendimenti ottenuti dai capitali esportati. La dichiarazione deve essere completa e accurata e deve descrivere le origini legali dei redditi la cui dichiarazione è stata omessa; in essa il contribuente si impegna a pagare le tasse, gli interessi ed ogni altra penalità determinata dalla Internal Revenue Service e deve essere firmata. È una dichiarazione spontanea firmata, non è mica anonima! Allora, volete prevedere un condono collegato ai meccanismi della legge n. 409 del 2003, quindi anonimo e che non possa poi essere utilizzato per alcun accertamento fiscale nei prossimi anni? Fatelo, ma non dite che questo è quanto fa Obama, perché egli fa qualcosa di completamente diverso, cioè quello che ho appena illustrato: una dichiarazione spontanea che prelude ad un accertamento, sul quale si pagano le imposte sui redditi eventualmente evasi. Quindi, se quel reddito non era stato dichiarato, si paga l´imposta non soltanto sull´interesse presuntivo durante la detenzione del capitale, ma anche sul reddito originario. Noi sosteniamo, invece, che il vostro è un condono perché è anonimo, perché è un «lavaggio» da ogni futuro accertamento e perché è possibile sanare la propria posizione fiscale anche con meno del 5 per cento, dichiarando che si è tenuto il capitale per meno di cinque anni.
In fondo, signori del Governo e della maggioranza, esso è anche contraddittorio rispetto ad alcune vostre linee di indirizzo. Ad esempio, recentemente ho letto un´intervista al direttore dell´Agenzia delle entrate nella quale egli sostiene che, secondo l´attuale indirizzo dell´Agenzia, la linea è quella di accertamenti sintetici tramite indicatori indiretti della capacità contributiva (il redditometro).
Quindi andiamo a vedere qual è il livello di vita del contribuente e lo confrontiamo con quanto dichiarato e con l´indicatore indiretto di capacità: la casa che abita, i beni di lusso che ha, lo yacht, eccetera, servono all´amministrazione fiscale per gli accertamenti.
Allora mi domando: la casa e lo yacht sono rilevanti, ma se il contribuente svela di possedere un conto corrente bancario con un milione di euro nelle isole Cayman o in una banca svizzera, questo non è considerato un indicatore indiretto di capacità contributiva e fiscale? Ma come? Volete andare verso il redditometro, come dice anche il rapporto recentemente rilasciato della Commissione bicamerale sull´anagrafe tributaria e l´evasione fiscale, presieduta dall´onorevole Leo, e poi non ritenete che l´emersione dei capitali detenuti all´estero debba essere considerata un indicatore quando meno indiretto di capacità fiscale per gli accertamenti dell´amministrazione fiscale? Ma insomma, vi state contraddicendo.
Questa non solo è una norma sbagliata come tutti i condoni, ma è sbagliata anche perché, dopo quello del 2001, sarà usata per i redditi e i capitali di più recente formazione, mentre quello del 2001 aveva almeno l´obiettivo di riportare in Italia cose molto antiche. Stiamo parlando di redditi e capitali formatisi negli ultimi anni, dal 2002 al 2003 in poi, e quindi si ridurrà il potenziale di accertamento futuro dall´amministrazione fiscale. Ma come? La Guardia di finanza qualche giorno fa ci ha detto di aver recuperato, nei soli cinque mesi tra gennaio e maggio 2009, 3,1 miliardi di evasione internazionale. Ma se queste persone «laveranno» i capitali detenuti all´estero con questo meccanismo, la Guardia di finanza non potrà più accertare niente, perché questi soldi non saranno più accertabili.
È sbagliato poi il condono perché non servirà a patrimonializzare le imprese. Ricordiamoci tutti che questa misura è rivolta solo alle persone fisiche e alle società semplici e non ha nulla a che fare con il mondo delle imprese strutturate: quindi altro che patrimonializzazione.
Insomma o eliminate l´anonimato, o prendete le schede dell´Internal Revenue Service e le traducete in italiano ed emendate così il testo, oppure, per favore, smettetela di paragonarvi ad Obama, perché con Obama e con Gordon Brown non c´entrate proprio nulla.
La seconda misura inaccettabile e fortemente criticabile è la richiesta di restituzione dei tributi alla gente dell´Abruzzo fin dal gennaio 2010. Poco fa ha parlato l´onorevole Lolli e non voglio aggiungere nulla.
La terza misura non accettabile è l´articolo 5 del decreto-legge in questione, che non avete voluto discutere in sede di Commissione per evitare di confrontarvi con noi e di votare la nostra proposta, che prevede di differenziare la detassazione degli utili reinvestiti a vantaggio del Mezzogiorno e delle regioni dell´obiettivo convergenza.
Si tratta di una misura non costosa perché nella nostra proposta il budget totale disponibile per le agevolazioni rimane uguale a livello nazionale. È una proposta coerente con le stesse linee-guida della legge 5 maggio 2009, n. 42, sul federalismo fiscale e quindi con la fiscalità di vantaggio ed è un segnale politico importante per il sud, dopo un anno di politiche fortemente e anche volutamente antimeridionaliste.
Ebbene, su nessuno di questi tre temi, signor Presidente - condono, Abruzzo, utili reinvestiti nel Mezzogiorno - si è potuto discutere o votare in sede di Commissione.
Il secondo capitolo è la mancata occasione per realizzare le riforme che servono a medio termine, concernenti innanzitutto gli ammortizzatori sociali. Sappiamo che il numero degli occupati in Italia si è ridotto di 426 mila unità, persone che nel primo trimestre 2009 hanno perso il posto di lavoro. Sappiamo anche che le ore di cassa integrazione sono aumentate dal giugno 2008 al giugno 2009 da 15 milioni a 80 milioni. È evidente che questa è la priorità e lo sostengono tutti sempre di più.
La cassa integrazione è uno strumento che gioca un ruolo molto positivo, perché tiene agganciato il lavoratore all´impresa.
È molto diverso per un lavoratore essere licenziato e passare a prendere il sussidio all´ufficio statale, piuttosto che invece andare una settimana o due settimane al lavoro e sapere che il cordone con l´impresa non è perso. Ma appunto per questo è assolutamente indispensabile prolungare, almeno in via temporanea e provvisoria, le settimane di cassa integrazione ordinaria dalle attuali 52 previste dalla legge a 104 perché rischiamo, con il proseguire della crisi, che questo cordone ombelicale non possa più essere mantenuto.
Da questo punto di vista, dato che la CIG è uno dei meccanismi che hanno ridotto l´impatto sociale della crisi (e che ci invidiano molti Paesi perché è meglio del sussidio di disoccupazione, per la condizione sociale e psicologica del lavoratore dell´azienda in crisi), occorre che riflettiate, perché la norma che avete messo per cui adesso si potrà richiamare il lavoratore pagandolo soltanto il 20 per cento, mentre il resto lo dà lo Stato se in formazione, ma comunque lavori e sia in catena produttiva, rischia di rompere quel meccanismo assicurativo solidaristico che riduce l´impatto sociale della crisi quando si usa la CIG.
Ma poi l´altra gamba che dobbiamo assolutamente introdurre è innalzare l´indennità introdotta con il decreto-legge n.185 del 2008 dal 20 al 60 per cento, per tutti gli altri lavoratori non coperti dalla CIG, rispetto all´ultima retribuzione percepita. La misura varata con tale decreto-legge è fallita (questo credo che lo possiate ammettere anche voi, Governo e maggioranza): soltanto 1.800 domande rispetto a una popolazione di potenziali beneficiari di 2 milioni di persone (800 mila parasubordinati, 400 mila collaboratori, 700 mila fra tempo determinato e indeterminato). Questa è la prima riforma che serve al Paese, ossia riformare gli ammortizzatori sociali, e ancora questo provvedimento non va avanti nella giusta direzione.
Quanto al credito alle piccole imprese, abbiamo poco fa detto qual è la forza dei nostri distretti, ma sappiamo anche come sono organizzati: ci sono poche imprese medie e medio-piccole che esportano e che vanno sui mercati e si sono internazionalizzate, e poi c´è una miriade di fornitori specializzati, industriali, artigianali e dei servizi di piccolissima dimensione, che soffrono in questo momento in modo strangolante le condizioni del credito. Gli interventi finora attuati non bastano. Noi abbiamo fatto una proposta. La nostra proposta è molto semplice: si faccia un fondo nazionale di garanzia, lo si apra presso il fondo cosiddetto Bersani del Ministero dello sviluppo economico, che agisca in via diretta con il sistema bancario e in via sussidiaria con i Confidi e le finanziarie regionali.
Gli interventi finora realizzati non sono sufficienti. Se davvero il Ministro Tremonti vuole chiedere una moratoria sui prestiti alle banche, che altro è una moratoria se non una rinegoziazione con allungamento di scadenza che va coperta da garanzia? E quindi questa è una seconda proposta di riforma strutturale su cui ancora non ci volete dare risposte. Neanche su questo abbiamo potuto discutere.
Sui progetti industriali del futuro, chiediamo al Governo e alla maggioranza più coraggio, meno galleggiamento, più medio termine. Ma perché non facciamo anche in Italia come ha fatto Sarkozy in Francia, istituendo un fondo strategico per investimenti presso la Cassa depositi e prestiti che finanzi i progetti industriali di ricerca, innovazione, sviluppo, prodotti e processi per il futuro, per la green economy, destinando il 50 per cento delle risorse ai progetti presentati da piccole e medie imprese e loro consorzi? Ci si preoccupa che questo possa politicizzare troppo e che ci sia troppa politica? Si faccia allora anche qui come in Francia, dove il Governo ha istituito una Commissione che seleziona i progetti composta in maggioranza non da funzionari governativi o da persone nominate dal Ministro dell´economia, ma da personalità indipendenti dal Governo.
Infine, velocemente, vorrei riferirmi alle tante cose fatte in fretta e male. Crediti pubblica amministrazione: va bene aver aperto i rubinetti, ma troppo poco ancora per comuni e per regioni. Nuove procedure che rischiano di bloccare gli investimenti e la spesa. Pensioni: non ho il tempo per discutere un argomento così complesso e non ne abbiamo discusso neanche in Commissione. Vi lascio soltanto con una considerazione: non vedo quale sia la necessità e l´urgenza di far passare come emendamento ad un decreto-legge (che deve avere i requisiti di necessità ed urgenza) l´innalzamento dell´età pensionabile nel 2015. Tutti siamo disposti a discuterne, ma questa è una riforma che non può essere fatta in fretta e male. Badanti: l´avevamo denunciato qui in quest´Aula.
Quando avete approvato il decreto-legge sicurezza, noi abbiamo ad alta voce denunciato l´impatto nefasto che il nuovo e orrendo reato di clandestinità avrebbe provocato. Ci avete messo 48 ore per capirlo, avete fatto marcia indietro velocemente e rovinosamente, ma in un modo discriminatorio rispetto ad altre categorie di lavoratori, confuso e incompleto. Gli esperti dicono che con la norma che è nel decreto-legge in esame si rischia che l´80 per cento delle attuali colf e badanti non potranno emergere.
Infine, vi sono i giochi. Questa riforma sembrerebbe un intervento - tra l´altro non si capisce neanche bene dalle relazioni tecniche fino ad ora ottenute dal Governo - che sembra portare e aprire la porta ad una sanatoria per rilevanti irregolarità appurate da apposite richieste avvenute tra il 2004 e 2007. Ma come, proprio mentre cerchiamo disperatamente risorse per il terremoto, per le famiglie, per la crisi, per gli ammortizzatori sociali, rinunciamo a quelle risorse? Ma questa non è soltanto una riforma fatta male, rischia di essere uno scandalo, se fossero vere le interpretazioni più negative. Potrebbe non esserlo, ma questo naturalmente dipenderà da un attento monitoraggio che il Parlamento dovrà fare circa la capacità dell´amministrazione fiscale di non evolvere in sanatoria quella partita, ma invece di sanzionarla e portare dei soldi a casa.
Infine, vi sono le norme sugli appalti pubblici. Durante la nottata di lunedì i colleghi delle Commissioni bilancio e finanze si sono trovati di fronte ad una mini-riforma delle procedure di appalto pubblico, nuove procedure per il massimo ribasso, nuove procedure per la valutazione delle offerte economicamente più vantaggiose. L´opposizione aveva chiesto che almeno una cosa così fosse valutata dalla Commissione di merito. È stata approvata così. Ritengo che possa avere impatti non banali.
Infine, vi sono le reti e gli impianti energetici. Oggi il vostro Ministro dell´ambiente si è arrabbiato con voi, perché non è d´accordo. Si tratta di un´altra riforma fatta in fretta e male.
Concludo, signor Presidente. Qui il problema non è usare la matita rossa o blu per segnare gli errori della politica economica degli ultimi 14 mesi. Qui il problema è il Paese, ovvero le sue reali condizioni economiche e sociali.
La nostra posizione è e sarà netta e dura, ma altrettanto nette, forti e coerenti sono le nostre proposte, che legano interventi di emergenza ad exit strategy di medio termine, su riforme anche di tipo strutturale. Badate che sulle riforme il Partito Democratico sarà sempre in campo, come abbiamo fatto con la legge n. 42, e continuerà ad offrire al Paese una reale alternativa, una strada diversa, un contributo per una fase politica nuova, che speriamo il Paese e le sue istituzioni possano aprire al più presto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

 
 

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