XVI LEGISLATURA
Seduta n. 287 di lunedì 22 febbraio 2010
Disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 194 del 2009: Proroga di termini previsti da disposizioni legislative - (A.C. 3210) (Approvato dal Senato)
MARCO CAUSI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, relatore, concentrerò il mio intervento sulla questione dello scudo fiscale e, quindi, sulla proposta di questo decreto-legge di riaprirne i termini fino al 30 aprile dell´anno in corso. Come certamente ricorderete, il Partito Democratico ebbe una fortissima contrarietà rispetto alla normativa relativa allo scudo fiscale, sia nella sua originaria versione, quella del decreto-legge di agosto, sia nella versione estesa varata con il decreto-legge del 3 ottobre. Voglio qui riassumere i motivi di questa nostra contrarietà. Si tratta di sette motivi che sono ancora in piedi tutti interi. Il primo motivo di contrarietà fa riferimento ad una generale questione etica e politica.
Con lo scudo fiscale si premiano i contribuenti non onesti; si disincentiva, così, il comportamento dei tantissimi contribuenti e imprese che, invece, stanno nella legalità e nelle regole e rimangono onesti.
Questo non va bene: non va bene per gli stessi aspetti fondamentali di fiducia del corpo sociale di questo Paese. Secondo motivo di contrarietà (lo dicemmo fin da allora): non di uno scudo si tratta, ma di un vero e proprio condono, perché non viene chiesto alcun pagamento di imposte arretrate sui redditi originariamente formati e poi trasferiti all´estero. Il pagamento forfetario dell´imposta si riferisce soltanto ai flussi di rendimento dei redditi originariamente esportati, ma il fisco italiano non chiede nulla in relazione ai redditi originariamente percepiti.
Questo è diverso da quanto, in particolare, hanno fatto tutti gli altri Paesi del mondo, che hanno adottato normative nell´ambito della lotta ai paradisi fiscali e dell´emersione delle attività illegalmente tenute all´estero, ma le hanno adottate facendo comunque sempre pagare le imposte originariamente evase.
In terzo luogo, eravamo e restiamo contrari perché lo scudo fiscale italiano, diversamente da quello degli altri Paesi, garantisce l´anonimato a chi vi aderisce, anche qui, diversamente dagli altri Paesi e contrariamente a numerose controindicazioni. Ne voglio citare appena due: una prima controindicazione ci viene dalle prescrizioni internazionali degli organismi internazionali per la lotta ai paradisi fiscali.
Sappiamo da queste prescrizioni che avere le liste, e quindi la tracciabilità dei capitali, è fondamentale non tanto per colpire il singolo individuo o la singola impresa, che può anche essere, in qualche modo, sanata, ma soprattutto per avere informazioni su quali sono i circuiti finanziari che sfuggono alle regole internazionali.
Leggiamo dalla stampa specialistica in questi mesi quanto altri Paesi (Stati Uniti, Francia, Germania) si stiano impegnando per avere informazioni, ma l´anonimato impedisce di raccogliere informazioni. Una seconda controindicazione all´anonimato viene dall´applicazione, di cui questo Governo mena gran vanto, di meccanismi come quello del redditometro, e quindi dell´individuazione indiretta della capacità fiscale del contribuente tramite indicatori di capacità contributiva indiretti (la casa, lo yacht, il tenore di vita).
Cosa rappresenta l´avere detenuto o detenere un conto corrente estero con alcune centinaia di migliaia o milioni di euro, se non un indicatore diretto, direi, non indiretto, di capacità contributiva? Bene, il fisco italiano, mentre va verso il redditometro, evita, lui per primo, di utilizzare queste informazioni per sapere, almeno indirettamente, qual è il tenore di vita dei singoli contribuenti; è del tutto controintuitivo.
Quarto motivo della nostra contrarietà è il valore del gettito che lo Stato ha portato a casa con questo condono fiscale. Pensate che sono rientrati circa 95 miliardi di euro: se si fosse adottata la tassazione del reddito originario, anche omettendo sanzioni e interessi, considerato che sicuramente il reddito originario non andava tassato per meno del 43 per cento, bastava che l´amministrazione tributaria avesse accertato 10 di questi 95 miliardi per avere quei quattro miliardi e 700 milioni di gettito che abbiamo portato a casa con il 5 per cento su 95 miliardi.
Un´attività intensificata e forte di accertamento da parte dell´amministrazione tributaria e della guardia di finanza avrebbe potuto e potrebbe portare ancora più gettito di quello che, invece, abbiamo incamerato, e già speso, peraltro, con questa discutibile misura.
Quinto, questa norma ha disincentivato lo Stato italiano a partecipare alla lotta ai paradisi fiscali. Vi è un disincentivo che emerge dal fatto che, in seguito agli accordi internazionali in sede OCSE e G20, negli ultimi mesi sono stati realizzati 120 Tax Information Exchange Agreements, cioè 120 accordi bilaterali fra gli Stati per consentire un totale scambio informativo in materia di movimenti dei capitali per la lotta ai paradisi fiscali; di questi 120 accordi bilaterali, l´Italia non ne ha sottoscritto neppure uno.
La Francia ne ha sottoscritti 12, 5 la Germania, e quindi si sono predisposte ad avere scambi informativi standardizzati fra le diverse amministrazioni tributarie e finanziarie; l´Italia invece, colpevolmente, non ha sottoscritto neppure uno di questi accordi bilaterali, perché lo scudo in qualche modo ha «scudato» anche l´inerzia dell´amministrazione finanziaria di questo Paese, che non vede negli accordi bilaterali il vero modo di fare la lotta ai paradisi fiscali.
Sesto motivo della nostra contrarietà, che rimane, è il pericolo che tramite il rientro di questi capitali si riciclino dei denari che hanno origini criminali; e su ciò noi continuiamo a ritenere che la norma estensiva introdotta nel decreto-legge di ottobre sia una norma pericolosa, ambigua e pericolosa (ne parlerò in seguito).
Infine, la nostra contrarietà deriva anche dal fatto che nessun elemento della normativa esistente caratterizza il rientro di questi capitali come indirizzato alla patrimonializzazione delle imprese: non vi è alcun vincolo di mettere questi soldi nelle imprese, nelle attività produttive, che pure ne avrebbero grandissimo bisogno in questa fase di crisi e di contrazione del credito. Signor Presidente, rappresentante del Governo, relatore, purtroppo (voglio sottolinearlo: purtroppo) le più recenti informazioni disponibili ci danno ragione, e dico purtroppo; e quindi ci convincono ancor di più che la riapertura dei termini dello scudo fiscale fino al 30 aprile sia dannosa e sbagliata. Le più recenti informazioni ci danno purtroppo ragione, e mi concentrerò adesso sulle due più recenti.
Prima questione: quanti sono i rimpatri «scudati» ai sensi della norma di quest´estate e di ottobre con liquidazione? Quanti quindi i rimpatri che sono stati registrati in entrata nella bilancia dei pagamenti italiani, quindi come flussi valutari che entrano nella bilancia dei pagamenti italiana e tornano in Italia? Sono stati il 41 per cento del totale. La Banca d´Italia, nelle sue statistiche relative alla bilancia dei pagamenti, non svolge il monitoraggio di tutti i capitali «scudati», ma per effetto di una diversità di definizioni statistiche ha intercettato, quindi ha potuto analizzare, 85 miliardi di euro dei 95 rientrati; la differenza fra 85 e 95 è data da una serie di partite minori (metalli preziosi, piccole somme), non è questo il punto. Di quegli 85 miliardi ne sono stati effettivamente liquidati, cioè disinvestiti dall´estero e reinvestiti in attività finanziarie denominate in Italia, soltanto il 41 per cento, e cioè 35 miliardi di euro su 85. Gli altri sono rientrati dal punto di vista giuridico: si tratta di attività finanziarie detenute da residenti in Italia e gestite da banche o da altri intermediari che hanno una residenza giuridica in Italia, ma rimaste allocate all´estero. Mi spiego con semplicità: se io avessi avuto un giardinetto finanziario di un milione di euro collocato presso una banca svizzera e investito - invento - in Bund tedeschi e in azioni americane, avrei semplicemente, «scudando», cambiato la denominazione del mio soggetto gestore, probabilmente il mio soggetto gestore sarebbe sempre rimasto una banca svizzera ma nella sua filiale italiana, e poi avrei deciso di non modificare il mio giardinetto, continuando a tenermi i Bund tedeschi e le azioni americane, e quindi il rientro sarebbe giuridico ma non economico. Soltanto il 41 per cento dei capitali «scudati» sono stati liquidati nelle attività precedenti, e invece oggi sono detenuti su attività italiane.
D´altra parte le informazioni disponibili già ci dicevano questo: sentite cosa dichiara il 19 febbraio il responsabile dell´Associazione Bancaria Ticinese. Dichiara: «Il deflusso reale di capitali delle nostre banche è stato minore rispetto a ciò che molti avevano previsto». Il responsabile del Crédit Suisse - Private Banking per l´area Italia e Monaco dichiara che lo scudo ha avuto un impatto, anche se poi minore di quanto si prevedeva e che molti clienti italiani hanno rinnovato la loro fiducia alle banche svizzere aderendo allo scudo ma lasciando presso i loro istituti i capitali in gestione. Questo è infatti ciò che è successo: l´UBS ha dichiarato che è rimasto nella sua gestione il 62 per cento dei capitali italiani scudati, il Credit Suisse il 66 per cento, Julius Baer il 60 per cento. Alla luce di questi dati, signori del Governo fatemi dire che riteniamo assurda la polemica che il Governo ha intentato nelle ultime ore con il Governatore della Banca d´Italia e con la Banca d´Italia medesima. Invito caldamente il Ministro Calderoli, che ha esternato in modo inaudito ed inconsulto sulle statistiche relative alla bilancia dei pagamenti che ho appena citato, a studiarsi bene - prima di esternare così - che cosa sono le statistiche relative alla bilancia dei pagamenti.
Non è comprensibile neppure la nota stampa dell´Agenzia delle entrate di sabato in cui il direttore dell´Agenzia stessa sembra volersi difendere da qualche accusa che nessuno gli ha mosso. I dati dell´Agenzia delle entrate sono infatti perfettamente coerenti e compatibili con quelli della Banca d´Italia: l´Agenzia delle entrate ha registrato, sulla base dei pagamenti arrivati, l´ammontare dei capitali scudati mentre la Banca d´Italia sta semplicemente registrando, in base ai criteri statistici internazionali, i flussi dei capitali che stanno rientrando. Questi flussi consistono economicamente in 35 su 85 miliardi di euro, gli altri capitali invece non sono rientrati ovvero sono rientrati giuridicamente ma non dal punto di vista economico.
È chiaro che dal punto di vista della posizione finanziaria netta dell´Italia, quindi dal punto di vista degli stock e non dei flussi, i 95 miliardi di capitali, detenuti da residenti italiani, adesso emersi vanno tutti ad incrementare lo stock della posizione finanziaria netta dell´Italia rispetto al resto del mondo. La differenza però è che di questi 95 miliardi il 41 per cento (quindi una quarantina di miliardi) sono effettivamente stati disinvestiti dall´estero ed investiti in Italia, mentre gli altri (circa 55 miliardi) restano investiti all´estero e quindi non hanno un effetto di flusso in entrata.
Le statistiche della bilancia dei pagamenti registrano ovviamente i flussi in entrata e in uscita; quindi credo di poter dire a nome del gruppo del Partito Democratico che troviamo - ripeto - assolutamente inaudito che il Governo, non comprendendo minime questioni di statistica della bilancia dei pagamenti, si avventuri in scriteriati attacchi all´istituzione monetaria italiana, che non fa altro che registrare i flussi e i movimenti dei capitali in entrata e in uscita.
Inoltre - e questo è l´ultimo punto del mio intervento, quindi passerò al secondo e definitivo argomento - i capitali rientrati (ossia il 40 per cento dei capitali disinvestiti dall´estero e rientrati in Italia) dove si trovano in questo momento? Basta leggere i giornali, perché i giornalisti in questi giorni si sono appassionati ed hanno intervistato diversi gestori, e tutti i gestori affermano che soltanto pochi di questi capitali stanno rientrando nelle imprese (hanno solo qualche caso di prestito da soci). La maggior parte di questi capitali è invece in attesa, cioè è stata reinvestita in strumenti finanziari domestici a breve periodo in attesa di superare l´incertezza: forse questa è una buona notizia per il Ministro dell´economia e delle finanze nella prospettiva delle future aste dei titoli pubblici (e naturalmente non saremo certo noi del Partito Democratico a lamentarci se le future aste dei titoli pubblici andranno bene anche grazie alla ricerca da parte di questi capitali di rendimenti adeguati), tuttavia non diteci che lo scudo fiscale ha permesso la patrimonializzazione delle imprese perché questo sicuramente è un risultato che non è stato ottenuto.
Signor Presidente, concludo in pochi minuti. Un ulteriore argomento su cui purtroppo avevamo ragione - e ci dispiace dirlo, perché avremmo davvero voluto non aver ragione - è la questione dell´antiriciclaggio, che è questione grave. Il Governatore Draghi ci ha segnalato che finora sono giunte poco più di cinquanta segnalazioni di possibili reati connessi con operazioni di emersione di disponibilità all´estero collegate allo scudo fiscale.
È un numero esiguo? Certo che è esiguo, pensate che le segnalazioni antiriciclaggio di tutta l´Italia sono state, se ricordo bene, 21 mila nel 2009 e solo 50 sono quelle emerse dallo scudo fiscale. Adesso arriva, molto tardivamente, una circolare del Ministero dell´economia e delle finanze, in data 17 febbraio, quando ormai i buoi sono scappati. Questa circolare dice agli intermediari e alla banche: attenzione, aprite gli occhi sulle operazioni effettuate da soggetti che non sono già clienti della banca, sulle operazioni da clienti che non transitano con un intermediario estero e su quelle effettuate da clienti che non hanno mai dichiarato le disponibilità economiche. Ma tutto ciò, la circolare lo dice soltanto il 17 febbraio, quando ormai i 95 miliardi di euro sono stati scudati e registrati con l´anonimato.
Cosa faranno adesso gli intermediari e le banche ? richiamano i clienti uno per uno? Ovviamente non potranno farlo. I 95 miliardi sono rientrati, e chissà quanti erano i clienti che non era già clienti della banca; chissà, tra questi, quanti sono transitati da intermediari esteri non conosciuti e chissà quanti non avevano prima dichiarato disponibilità economiche. Adesso il Ministero dell´economia e delle finanze dice agli intermediari di fare attenzione quando ricorrono queste fattispecie dichiarate all´unità di informazione finanziaria ai fini dell´antiriciclaggio. E perché non lo ha chiarito fin da settembre? Perché perdura ancora oggi l´incertezza sulla necessità o meno da parte dell´intermediario finanziario che scuda i capitali di inviare una adeguata informazione all´archivio rapporti finanziari dell´anagrafe tributaria? Questa incertezza vi è ancora adesso e non la scioglie neanche l´ultima circolare del Ministero dell´economia e delle finanze.
Su questo, annuncio che il Partito Democratico presenterà un´interrogazione a risposta immediata (question time).
Termino, ricordando che la questione dell´antiriciclaggio può avere due interpretazioni. Nella migliore delle ipotesi, la norma, che prevedeva che quando era applicato lo scudo che esclude i reati di cui al 2 comma, dell´articolo 4, non era necessaria la segnalazione antiriciclaggio, può essere concepita come uno scudo a vantaggio delle banche e degli intermediari finanziari che si sono sentiti, quindi, più tranquilli, e meno responsabilizzati di indagare su queste operazioni. Ma esiste anche un´ipotesi peggiore ovvero che questo Governo abbia voluto fare un regalo alla criminalità organizzata, gettando qualche granello di sabbia nel funzionamento delle nuove procedure antiriciclaggio generate dal decreto legislativo n. 231 del 2007 che stanno funzionando molto bene (le segnalazioni ai fini dell´antiriciclaggio sono aumentate del 16 per cento nel 2008 rispetto al 2007, e del 44 per cento nel 2009 in rapporto al 2008). Purtroppo, il meccanismo di queste segnalazioni è stato frenato, il granello è stato lanciato, proprio nel caso dello scudo fiscale. Esiste un continuo e serio vulnus alla legalità e alle regole. C´è il rischio di porre l´Italia fuori linea rispetto agli standard etici internazionale, e di abbassare la guardia nel contrasto alla criminalità organizzata. Quindi, e con ancor maggior convinzione rispetto a luglio e ad ottobre, restiamo contrari allo scudo fiscale e, a maggior ragione, alla riapertura dei suoi termini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).