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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



23/04/2009 M.Causi
Comuni e federalismo fiscale
Da alcuni anni ormai i Comuni italiani sono sottoposti ad una significativa cura dimagrante dal punto di vista finanziario. Non si tratta della semplice partecipazione pro-quota a più generali politiche di risanamento delle pubbliche finanze. No: ai Comuni è stato chiesto di più. E infatti, fra il 2004 e il 2007, il comparto dei Comuni è passato da un deficit di 3,7 miliardi di euro ad un avanzo di 325 milioni, mentre tutti gli altri comparti della finanza decentrata, e soprattutto quello delle Regioni e della Sanità, restavano in deficit e in alcuni casi lo incrementavano.
Con la nuova legislatura, però, l´accanimento terapeutico nei confronti dei Comuni è aumentato in modo preoccupante: l´abolizione di ciò che restava dell´Ici prima casa, e cioè quella concernente gli immobili con un valore catastale che generava un´imposta da pagare superiore a 300 euro, in quanto per le Ici "basse" era già intervenuto il Governo Prodi, ha drasticamente ridotto l´autonomia finanziaria dei Comuni e li ha comunque messi in grande difficoltà, perchè il ristoro previsto a carico dello Stato (2,6 miliardi) è ampiamente inferiore al gettito effettivamente mancante (pari, secondo il Servizio bilancio del Senato, a 3,7 miliardi). Lo stanziamento aggiuntivo di ulteriori 260 milioni, avvenuto in dicembre su pressione dell´Anci e delle opposizioni parlamentari, è comunque insufficiente ed è limitato alla sola annualità 2008;la manovra finanziaria dell´estate 2008 comporta un taglio netto dei trasferimenti ai Comuni per 451 milioni, di cui 251 "ereditati" dalla precedente finanziaria e 200 invece nuovi; sono stati fortemente ridotti fondi destinati anche ai Comuni e agli enti locali, come quelli per l´edilizia scolastica (-23 milioni), per il trasporto pubblico (-37 milioni), per l´inclusione sociale (-100 milioni), per le politiche giovanili (-55 milioni); l´obiettivo posto a carico dei Comuni in termini di saldi finanziari per il 2009 è molto gravoso: è pari a 1340 milioni di euro. Dato che i Comuni sono già in avanzo, ciò significa obbligarli a migliorare il loro avanzo per questa cifra, e quindi impedire che gli enti possano spendere risorse finanziarie che sono in loro possesso. E´ da questo che nascono i tanti vincoli a cui sono stati sottoposti i bilanci per il 2009, e che tanto stanno incidendo sulla possibilità di operare da parte di molte amministrazioni, anche e soprattutto di quelle virtuose ("congelamento" dei proventi derivanti da cessioni, dividendi straordinari e alienazioni immobiliari, "congelamento" degli avanzi di amministrazione, impossibilità di aprire i cantieri per tante opere già programmate e finanziate, ma la cui partenza farebbe "saltare" i saldi in termini di cassa, ecc.). E sempre da questo vincolo dipende la lentezza con cui i Comuni possono pagare, a valere sulle risorse già impegnate, per i contratti di servizio o di opere in corso di svolgimento o già conclusi, con tutti gli effetti negativi che questi ritardi comportano a carico delle imprese fornitrici, soprattutto nell´attuale fase di pesante crisi economica;
 la situazione, infine, è ancora più grave in prospettiva, perchè a carico di Comuni e Province la manovra triennale prevede ulteriori contributi (in termini di miglioramento dei saldi) pari a 1,3 miliardi nel 2010 e a 2,2 miliardi nel 2011, aggiuntivi a quelli previsti per il 2009.
Insomma, non è inutile allarmismo quello che il Partito Democratico ha fatto quando, presentando la mozione parlamentare a prima firma Franceschini, ha affermato che "i comuni e le province versano in una situazione di grave crisi economico-finanziaria". E sono principalmente tre i motivi politici del nostro allarme, e della nostra azione tesa ad ottenere modifiche all´impianto così vessatorio della manovra finanziaria a carico dei Comuni.
Il primo motivo ha a che fare con la crisi economica in corso. Gli enti locali territoriali sono, potenzialmente, lo strumento di intervento più veloce ed efficace che lo Stato ha a disposizione per alleviare i colpi della crisi con opportune politiche anticicliche. E così, infatti, è avvenuto in tutti i piani anticrisi degli altri paesi europei e degli Stati Uniti. Anche in Italia gli enti locali potrebbero, se liberati dal fardello dei saldi finanziari imposti dal patto di stabilità interno, attivare tre cruciali linee di intervento: (a) accelerare i pagamenti dei loro debiti nei confronti del sistema delle imprese, che rappresentano una parte dei 15 miliardi di euro di residui passivi oggi allocati nei loro bilanci; (b) varare programmi di investimenti e di manutenzioni immediatamente realizzabili, e quindi davvero anticiclici (scuole, edilizia pubblica, periferie, verde pubblico, strade, beni culturali, ecc.), indirizzando su questo almeno una parte dei loro avanzi di amministrazione (3,2 miliardi), mentre secondo la Confindustria i 16,6 miliardi di euro che il Governo ha stanziato per le grandi infrastrutture verranno spesi in periodi di tempo molto lunghi, e soltanto 650 milioni verranno effettivamente impegnati nel corso del 2009; (c) presidiare senza affanni i compiti che sono istituzionalmente, nel nostro ordinamento, assegnati agli enti locali in materia di welfare locale e di assistenza, rendendoli così uno strumento effettivo nelle politiche di contrasto alla povertà e alla crescita del disagio economico, sociale e occupazionale, uno strumento peraltro ben più efficace di quello attivato tramite misure di risarcimento finanziario gestite centralmente (come la social card o il bonus famiglia), poiché i Comuni possono meglio dello Stato centrale monitorare sul territorio l´effettivo stato di bisogno ed attivare non solo sussidi monetari ma anche interventi più complessi, basati su servizi e su azioni di accompagnamento finalizzate a far uscire le famiglie in stato di bisogno dai circoli viziosi della povertà e della marginalità sociale.
L´iniziativa del Partito Democratico ha portato all´approvazione della mozione "Franceschini" da parte della Camera dei Deputati. In questa mozione si impegna il Governo a garantire l´integrale copertura del minor gettito Ici, a consentire l´utilizzo degli avanzi di amministrazione per la spesa in conto capitale, e in particolare per lavori di medio importo realizzabili entro il 2009, ad escludere dai saldi del patto di stabilità interno almeno una parte dei pagamenti dovuti alle imprese fornitrici per servizi e contratti già realizzati. Per attuare quanto previsto dalla mozione, il Governo ha finora partorito un topolino, ancora del tutto insufficiente: sarà quindi necessario insistere nell´iniziativa politica, sia da parte dei Sindaci che delle opposizioni. In ogni caso, sul decreto "incentivi" sono stati introdotti margini per 150 milioni di euro, a cui si aggiunge la possibilità di impegnare sui bilanci del 2009 i risparmi derivanti dalla riduzioni della spesa per interessi dovuti al calo dei tassi (una misura che vale, secondo le prime stime, circa 170 milioni).
La seconda motivazione politica è che ci sembra evidente, da parte del Governo di centro-destra, la volontà di mettere in difficoltà tante amministrazioni locali per mettere a loro volta in difficoltà le loro maggioranze, i Sindaci e i Presidenti, in tanti casi espressioni del centro-sinistra, anche in vista dell´imminente scadenza elettorale. E´ un gioco perverso, in cui il corretto funzionamento delle istituzioni viene sacrificato alla partigianeria politica. E´ un gioco che il Partito Democratico denuncia e combatte.
E infine, la terza motivazione che spinge il Partito Democratico a schierarsi dalla parte dei Sindaci e degli enti locali è che noi siamo sinceramente federalisti. E il nostro federalismo, democratico e solidale, non egoistico e regressivo, nasce proprio dalla nostra convinzione dell´importanza e dell´insostituibilità del ruolo dei governi di prossimità. E´ lì la base per ricostruire in modo trasparente e partecipato il rapporto fra politica, istituzioni e cittadini. Una politica "del fare", che si occupa delle cose concrete, che si misura sui servizi resi ai cittadini e alle comunità e sui loro costi, che riforma così un situazione troppo spesso insoddisfacente nei rapporti fra lo Stato e i cittadini. Le politiche vessatorie nei confronti degli enti locali, e soprattutto dei Comuni, fanno al contrario emergere l´ipocrisia del Governo Berlusconi e della maggioranza di centro-destra, che è federalista a parole, ma fortemente centralista nelle politiche concretamente realizzate. Si pensi soltanto all´iniziale piano casa del Governo, che si era semplicemente dimenticato di coinvolgere le Regioni.
Ma si pensi anche al federalismo fiscale, dove sono stati gli emendamenti delle opposizioni, e soprattutto del Partito Democratico, a garantire, da un lato, la maggiore aderenza della legge al testo della Costituzione, al confronto con l´originario testo del Governo; e a garantire, dall´altro lato, che il processo di riforma non si trasformi in un aumento delle difficoltà per la gestione ordinaria delle amministrazioni locali e regionali.
E´ stato su iniziativa del Partito Democratico, in particolare, che sono state meglio specificate, nel testo della delega, le materie imponibili di competenza di ciascun livello di governo (immobili per i Comuni, mobilità per le province); è stato introdotto il principio dell´integrale finanziamento delle funzioni; è stato chiarito che i fondi perequativi per i servizi essenziali delle Regioni e per le funzioni fondamentali di Comuni e Province saranno di tipo verticale, approvvigionati alla fiscalità generale; sono stati introdotti principi di massima flessibilità per le compartecipazioni (nel testo orignario si prevedeva Iva per le Regioni e Irpef per Comuni e Province, nel testo finale sia Iva che Irpef sono disponibili per ciascun livello di governo); è stato inserito l´importante principio della perequazione della finanza comunale a vantaggio dei Comuni sottodotati; e un articolo aggiuntivo sulla collaborazione fra Stato, regioni ed enti locali nella lotta all´elusione ed evasione fiscale, con forme di compartecipazione al gettito a vantaggio degli enti decentrati.
Su nostra iniziativa, poi, sono state introdotte sei importanti modifiche all´impianto originario del testo "Calderoli": (a) viene istituita una Commissione parlamentare bicamerale di controllo per l´esercizio delle deleghe, con parere "rafforzato" e potere di indagine e di proposta; (b) viene superato il principio estremistico (e incostituzionale) di "territorialità" delle imposte erariali, a favore di quello, costituzionale, di "riferibilità" al territorio delle compartecipazioni; (c) viene definita una "road map" per l´attuazione delle deleghe, introducendo "paletti" che obbligheranno il Governo a fare un quadro certo di quantificazione, a emanare regole per l´armonizzazione dei bilanci pubblici, a definire i costi e i fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni, a chiarire che questi ultimi devono essere stabiliti dalla legge statale; (d) viene introdotto il "patto per la convergenza", e cioè un processo attraverso cui l´attuazione della riforma procederà sulla base di obiettivi di convergenza dei diversi territori del paese verso costi dei servizi e livelli degli stessi servizi uniformi; (e) viene introdotto il principio che la riforma non deve procurare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e che i decreti delegati devono essere corredati da relazioni tecniche sul loro impatto finanziario; (f) vengono infine introdotte una serie di norme, di principio e di fatto, che forniscono garanzie ai territori a più bassa capacità fiscale (salvaguardia del fondo perequativo ex legge 549/95, principio che l´azione per la rimozione degli squilibri strutturali si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali, salvaguardia delle aree sottoutilizzate nelle azioni di perequazione infrastrutturale).
Esistono ancora, tuttavia, alcuni limiti nel disegno di legge delega sul federalismo fiscale, rimasti perchè il Governo e la maggioranza non hanno voluto accettare ulteriori nostre proposte emendative. In particolare, non è definito con precisione il "parallelismo" fra riforma del sistema delle autonomie (federalismo amministrativo, Codice delle autonomie) e federalismo fiscale, non è chiarito in quale modo le Regioni a Statuto Speciale parteciperanno al "patto per la convergenza" e sono rimasti insoddisfacenti i fondi perequativi destinati alle Regioni per i servizi non essenziali e quelli destinati ai Comuni e alle Province per le funzioni non fondamentali. Di questi ultimi, in particolare, non sono definiti i meccanismi di finanziamento. A garanzia di Comuni e Province resta l´"equilibrio" contrattato fra Governo, Anci e Upi, e cioè che l´80% delle attuali spese di Comuni e Province sarà compreso fra le funzioni fondamentali, e cioè integralmente finanziato e perequato. Per il restante 20%, tuttavia, restano incertezze che andranno chiarite in fase di attuazione, anche coinvolgendo le Regioni in specifiche operazioni di perequazione degli enti locali dei rispettivi territori.
 
 



 
La legge delega sul federalismo fiscale
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