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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



19/05/2011 M.Causi
Sicilia e federalismo fiscale: schierare i democratici sul fronte dell´innovazione
Il nuovo Titolo V della Costituzione e l´attuazione dell´articolo 119 (cosiddetto "federalismo fiscale") attraverso la legge 42 del 2009 aprono la strada ad una profonda riscrittura del patto fra la Sicilia e lo Stato italiano. Per i democratici questa è una frontiera di grande importanza politica, perché lo Statuto siciliano del 1946 è un elemento fondante della Repubblica nata dalla Resistenza e la sua piena attuazione è un contributo importante alla tenuta unitaria del paese nell´attuale fase storica e politica.
Il Partito Democratico non si è tirato indietro dal confronto sulla riforma, anzi abbiamo in tutte le sedi esercitato un ruolo di proposta e di controllo, e anche di dura critica e opposizione quando necessario. Non ci ha convinto, ad esempio, la decisione della maggioranza nazionale di centro-destra di mandare avanti la sola attuazione del federalismo fiscale e non anche quella della riforma ordinamentale degli enti locali e regionali e delle loro funzioni. Non ci ha convinto l´impianto dei decreti relativi ai Comuni, a cui non viene conferita una vera autonomia finanziaria e per i quali ancora manca un vero disegno perequativo.
Ci ha convinto di più il decreto sulle Regioni, pur non esente da critiche: ma almeno in questo decreto emerge con chiarezza una perequazione al 100 per cento sui servizi essenziali (sanità, assistenza, istruzione, trasporto) e al 75 per cento per il resto dei servizi erogati dalle Regioni, il che fa capire che, grazie alla nostra iniziativa, si tratterà di un federalismo ad alta solidarietà, al contrario di quanto la Lega ha sbandierato (irresponsabilmente) nei territori del nord del paese. Ma soprattutto non ci convince il quadro di decisioni finanziarie che il Governo nazionale ha preso in concomitanza all´attuazione del federalismo: un quadro connotato da selvagge riduzioni di risorse, a valere sia sui fondi aggiuntivi destinati alle politiche di sviluppo e coesione sia sui fondi ordinari destinati a Regioni ed enti locali. Una grande contraddizione, quella di un Governo che si dice federalista a parole ma di fatto ha esercitato ed esercita un ritorno esasperato al centralismo.
Lo scenario dell´attuazione della riforma in Sicilia presenta rischi e opportunità che bisogna riconoscere con intelligenza e su cui bisogna lavorare con tenacia e senso di prospettiva. Il Partito Democratico deve fare di questo punto un fronte prioritario su cui incalzare il Governo regionale, impegnandosi a fornire il suo apporto in tutte le sedi necessarie, nei parlamenti nazionale e regionale oltre che nell´iniziativa politica e culturale. Occorre però capire che l´attuazione della riforma federale in Sicilia può costituire un terreno di respiro ancora più lungo, un terreno di vera e propria ricostruzione di una cultura e di un´azione politica volta a riformare profondamente le modalità di funzionamento delle istituzioni pubbliche siciliane, a partire dalla Regione.
Ci sono due possibili approcci al problema di come applicare in Sicilia le nuove norme costituzionali del 2001 in materia di finanza pubblica multilivello e di come, allo stesso tempo, puntare alla piena attuazione dello spirito contenuto nello Statuto del 1946. Il primo è basato sulla definizione di nuovi cespiti finanziari da far affluire alla Regione siciliana (sotto forma ad esempio di compartecipazioni, accise, quote di riparto del finanziamento sanitario, ecc.) in cambio dell´esercizio di nuove funzioni (ad esempio integrale finanziamento della sanità, finanza locale, ecc.). E´ questo l´approccio seguito dalle Regioni a statuto speciale del nord, come Trentino o Friuli. Un approccio compatibile e coerente con il tradizionale modello di attuazione dello Statuto siciliano, in linea anche con le norme inserite, ma ancora non attuate, nella legge finanziaria del 2007. Ed è questo l´indirizzo impresso alle mosse con cui il Governo regionale siciliano ha aperto la trattativa con il Governo nazionale.
Il secondo approccio è basato sull´attuazione integrale di quanto la legge 42, all´articolo 27 comma 2, prevede per le Regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale. I due approcci non sono in sé contraddittori, essi possono e devono convivere, anzi bisogna avere una piena consapevolezza che l´uno non tiene senza l´altro. Il comma 2 dell´articolo 27 è un passaggio importante della legge 42, introdotto in Parlamento anche per iniziativa del Partito Democratico: le norme di attuazione attraverso cui le Regioni a statuto speciale definiscono, nel rapporto bilaterale con lo Stato, la loro partecipazione alle nuove normative, dice la legge, "disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all´articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione".
C´è, in questa norma, una profonda innovazione al confronto con lo spirito e con la lettera dello Statuto siciliano del ´46: la perequazione e la solidarietà vengono ancorate non più a un vago obiettivo risarcitorio, ma all´esercizio di diritti di cittadinanza costituzionalmente garantiti nel campo dei servizi essenziali (sanità, assistenza, istruzione, trasporto pubblico, ecc.), indipendentemente da quale sia l´ente pubblico (Regione, Provincia o Comune) affidatario delle funzioni amministrative in materia. Si capisce bene la differenza, e se ne comprende in pieno il valore politico: perequazione non per risarcire ma per rendere esigibili i diritti dei siciliani e delle siciliane in quanto cittadini italiani.
I due approcci non sono fra loro contraddittori, essi vanno perseguiti in parallelo. Ma sulla nuova dimensione della perequazione occorre che la Sicilia accetti e affronti in pieno la sfida che comporta. Per riempire di contenuti la nuova perequazione, anche nella sua dimensione quantitativa, bisogna definire i livelli essenziali delle prestazioni, calcolare i fabbisogni standard, ancorarsi a costi standard efficienti per la produzione dei servizi pubblici, definire gli obiettivi quantitativi e qualitativi dei servizi da erogare, contrattare i livelli dei servizi per i quali lo Stato deve garantire anche in Sicilia il finanziamento integrale.
Si tratta di un linguaggio diverso da quello del 1946: non esistevano allora né livelli essenziali delle prestazioni né fabbisogni standard. Una volta definita la "giusta" perequazione, e una volta che questa venga introdotta nel processo dinamico di "convergenza" previsto dalla legge, i nuovi flussi finanziari (compartecipazioni, accise, ecc.) dovranno essere destinati ai servizi essenziali, e non soltanto alle nuove (eventuali) competenze trasferite. Ai servizi essenziali per la popolazione potranno, peraltro, essere destinati i risparmi che, nel corso del tempo, potrebbero emergere dall´applicazione di modelli organizzativi meno costosi e più efficienti.
Nelle posizioni ufficiali del Governo regionale e nella discussione politico-istituzionale siciliana la consapevolezza dell´importanza di questa "seconda strada" non emerge con chiarezza. Non è comprensibile, ad esempio, la contrarietà delle Regioni speciali, Sicilia compresa, all´applicazione del metodo dei costi e dei fabbisogni standard. In assenza di fabbisogni standard, infatti, non c´è punto di riferimento per la perequazione. E visto che la Sicilia deve essere perequata, rifiutare i fabbisogni standard significa rinunciare alla "nuova" grammatica della perequazione. Si tratta di un riflesso conservatore che, se dovesse prevalere nelle scelte di indirizzo politico della Regione, non consentirebbe alla popolazione dell´isola di scommettere sulle opportunità più interessanti offerte dalla riforma costituzionale: perequazione da un lato, trasparenza sui costi delle pubbliche amministrazioni regionali e locali dall´altro lato.
Anche le scelte programmatiche legate agli interventi aggiuntivi delle politiche di coesione e di sviluppo, ivi compresa la futura programmazione 2014-2020 dei Fondi strutturali comunitari e del nuovo Fondo per lo sviluppo e la coesione che sostituirà il FAS, potranno e dovranno avere una stretta connessione con la programmazione ordinaria dei servizi essenziali, rendendo disponibili risorse per investimenti finalizzati al raggiungimento dei "livelli essenziali", dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio nei settori della sanità, della scuola, dell´assistenza, del trasporto, dei servizi pubblici di rilevanza economica come acqua e rifiuti, oltre che negli altri settori che restano di competenza statale (sicurezza, giustizia, ecc.). Insomma, la spesa "ordinaria" deve acquisire maggiore efficacia, qualità ed efficienza, mentre la spesa "aggiuntiva" o "speciale" deve essere programmata insieme all´"ordinaria".
Il punto, allora, è di definire, nella nuova cornice normativa, i fabbisogni standard per l´esercizio dei diritti di cittadinanza fondamentali garantiti in Sicilia dalla Regione e dagli enti locali territoriali, e di farlo dentro un progetto di profondo rinnovamento organizzativo di tutti gli apparati pubblici dell´isola. Un vero e proprio progetto di riforma dell´azione pubblica regionale e locale che permetta alla Sicilia di contrattare a testa alta con il Governo nazionale l´afflusso di risorse in cambio di un percorso che porti, da un lato, a maggiore efficienza e, dall´altro lato, ad un aumento della qualità e della copertura dei servizi pubblici essenziali. E´ dentro questo progetto che il Partito Democratico in Sicilia dovrà costruire il suo profilo programmatico e riformista, in vista degli importanti momenti di verifica politica ed elettorale che sono dietro
 

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