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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



20/09/2015 M.Causi
I musei diventano servizi essenziali: un´occasione da non sprecare


Il decreto "Colosseo" del Governo Renzi riapre un´importante partita, in modo assolutamente positivo. E´ una straordinaria occasione, da non sprecare. Il Parlamento deve valutare fino in fondo la possibilità di ampliare il decreto muovendosi verso una piena introduzione dei servizi legati alla fruibilità e all´accessibilità al patrimonio culturale nell´ambito dei servizi pubblici essenziali.

Nel 2009, durante la discussione della legge sul federalismo fiscale, ci fu battaglia in Parlamento su questo punto, e credo che Dario Franceschini la ricordi bene. Il PD proponeva di considerare i servizi culturali come servizi essenziali e di inserirli fra le funzioni fondamentali degli enti locali. Nel Governo e nella maggioranza di centrodestra prevaleva la tesi che "con la cultura non si mangia" e fummo sconfitti.

La questione non è banale. L´istruzione di base è obbligatoria per legge, ma nessuno può obbligare un libero cittadino a visitare un museo piuttosto che, ad esempio, andare allo stadio. Il servizio sanitario è per necessità utilizzato da tutti, ma soltanto il 26 per cento degli italiani entra in un museo o in una mostra d´arte almeno una volta l´anno. A ben pensarci, i servizi che garantiscono la fruibilità dei beni culturali hanno una natura diversa da quelli che offrono istruzione e sanità. Ma sono forse per questo meno "essenziali", e quindi da collocare su un gradino di priorità inferiore nelle scelte pubbliche? La risposta è no: si tratta di attività che si svolgono all´interno (e nell´intorno) di beni la cui natura pubblica è indiscutibile (musei, aree archeologiche, monumenti, biblioteche, ecc.); l´apertura al pubblico, la buona gestione, la capacità e la qualità dell´accoglienza in questi beni genera effetti esterni di enorme rilevanza: per il turismo, certamente - soprattutto nelle città come Roma, e altre in Italia, che sono attrattori mondiali e in cui la quota del Pil prodotta da turismo e cultura è di poco inferiore al 10 per cento - ma anche per il mantenimento e l´accrescimento del capitale umano del paese − una cosa che non si misura con il Pil, ma che è altrettanto importante per lo sviluppo economico e la coesione sociale.

La conclusione è che i servizi culturali andrebbero inseriti nell´intero apparato normativo e regolativo dei servizi essenziali, non soltanto in quella parte che ne stabilisce in modo speciale le relazioni industriali e le forme del conflitto sindacale. Per i servizi essenziali la legge statale deve stabilire standard quali e quantitativi da applicare sull´intero territorio nazionale (anche le Regioni speciali non possono sfuggire). Si devono valutare costi e fabbisogni con metodi trasparenti (i famosi costi e fabbisogni standard, oggi in vigore nella sanità e in tutte le funzioni fondamentali dei Comuni). La finanza pubblica deve garantirne la copertura, all´interno di assetti organizzativi efficienti, in tutti i suoi livelli, Stato, Regioni e Comuni. Estendere questo tipo di regole ai servizi per i beni culturali − declinandole con analisi e valutazioni tecniche che tengano conto delle specificità del settore − potrebbe finalmente portare una salutare rivoluzione gestionale.

Potrebbe garantire un grado di priorità nelle scelte pubbliche, anche finanziarie, che da vent´anni il settore rivendica, senza che però queste rivendicazioni siano mai andate oltre la consueta lamentela sulla scarsità di risorse. E cioè senza che il settore − fatte salve, come sempre, alcune importanti eccezioni − sia stato in grado di (oppure costretto a) produrre proposte di innovazione basate sui criteri della trasparenza, dell´efficienza e della qualità dei servizi verso l´utenza.

 



 
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