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Marco Causi

Professore di Economia industriale e di Economia applicata, Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre.
Deputato dal 2008 al 2018.

La soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare e del lasciar passare, potendo invece essere, caso per caso, di sorveglianza o diretto esercizio statale o comunale o altro ancora. Di fronte ai problemi concreti, l´economista non può essere mai né liberista né interventista, né socialista ad ogni costo.
Luigi Einaudi
 



14/02/2017 M.Causi
Alla UE non basta l´euro

Il dollaro nasce come moneta dei nuovi Stati Uniti nel 1785, ma soltanto trent´anni dopo viene affiancato da un bilancio federale e da regole di integrazione finanziaria. Ci volle una guerra, quella del 1812, la "seconda guerra di indipendenza".  In mancanza di un bilancio federale la giovane repubblica fu messa in ginocchio per l´assenza di risorse con cui sostenere l´esercito; la nuova capitale Washington invasa e distrutta; la nazione salvata dalla decisione inglese di concentrare lo sforzo bellico sull´Europa contro Napoleone e dalle insperate vittorie dell´armata del Sud del generale Jackson.

L´euro è entrato in circolazione da quindici anni. Ma gli Stati che lo hanno adottato, entrando nell´Unione Economica e Monetaria europea, non ne hanno altri quindici per completare il progetto. Devono farlo presto. Non hanno neppure bisogno di una vera guerra guerreggiata (speriamo…). Dovrebbe essere più che sufficiente la tempesta che si è abbattuta sull´Europa, il rischio di una sua disintegrazione, il crescente clima antieuropeo nelle opinioni pubbliche, la sfida neoisolazionista di Trump con i suoi aspetti inediti, poiché condita da una certa aggressività e non, come accaduto nella storia, dalla dottrina del non intervento.

Per fare il salto di qualità nelle politiche economiche le parole chiave sono due: bilancio federale e condivisione dei rischi. Un bilancio federale integrato, gestito da un Tesoro dei paesi euro, può permettere all´Unione di intervenire in modo asimmetrico, e cioè aiutare i paesi quando vengono colpiti in modo specifico (ad esempio con un sussidio europeo di disoccupazione, come proposto nel documento italiano di Padoan un anno fa). Può gestire le azioni necessarie a superare altre asimmetrie, come gli squilibri macroeconomici che derivano dalla persistenza di elevati avanzi di bilancia dei pagamenti (il caso della Germania). Può superare, grazie a una gestione diretta e non mediata dagli Stati, la sfiducia dei paesi "forti" nei confronti degli apparati statali dei paesi "deboli".

Può finanziarsi rendendo europea la base imponibile delle imposte sulle società eliminando questo tipo di concorrenza fiscale all´interno dell´Unione: un obiettivo da sempre perseguito dall´iniziativa italiana, rilanciato nel recente Rapporto del gruppo di lavoro Monti e oggi, grazie alla Brexit, più realisticamente perseguibile.

Condivisione dei rischi significa completamento dell´Unione bancaria, assicurazione europea sui depositi, rafforzamento delle capacità e del ruolo del meccanismo europeo di stabilità (ESM), ad esempio nella gestione delle crisi bancarie e dei crediti deteriorati del settore creditizio, in prospettiva dei debiti sovrani.

E´ chiaro che tutto ciò non ha nulla a che fare con la politica dello "zero virgola". Vista in questa prospettiva la discussione sull´aggiustamento di 3,4 miliardi che la Commissione europea chiede all´Italia è surreale. Attenzione però: sbaglia la Commissione sullo "zero virgola", ma sbaglierebbe anche l´Italia a non tenere conto dei vincoli che derivano dall´appartenenza all´Unione. Questi vincoli in realtà, se maturerà il passo avanti necessario alla salvezza dell´euro, aumenteranno. Cresceranno le zone della decisione pubblica da trasferire a una sovranità di tipo federale. L´Italia non può chiedere agli altri la condivisione dei rischi se non è disponibile a contropartite politiche di rilievo importante. Nessuno in Italia può cullare l´illusione di rilanciare il paese con qualche flessibilità aggiuntiva da "zero virgola", e non proseguendo invece un lavoro di lunga lena e di medio termine per la riforma e la modernizzazione delle strutture portanti del sistema paese.

Questo, a me sembra, è il compito del PD. Ogni altra fuga in avanti, o di lato, porterebbe a negare il motivo per cui il PD è nato. Se anche noi abbiamo talvolta sbagliato, sperando che qualche "zero virgola" di flessibilità aggiuntiva ci avrebbe aiutato a togliere dal fuoco la bollente castagna delle riforme, siamo in tempo per riflettere e modificare alcuni atteggiamenti. Senza però illudere il paese che ci sia una strada diversa da quella delle riforme e della stabilità.

Marco Causi

 

 

 



 
leggi qui l´articolo uscito su L´Unità

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